Gli eventi grandiosi accadono in luoghi grandiosi. Di solito sono presenti moltitudini di facce attonite, assetate di parole, azioni gloriose e indimenticabili, occhi fuori dalle orbite si aggrappano convulsamente a corpi umani nei quali non scorre solo sangue, ma la speranza e il futuro di migliaia di individui.
L’aula Anna Frank del Liceo Banfi non è generalmente contemplata tra gli sfondi preferiti dagli sceneggiatori per ambientare quegli eventi che cambieranno irreversibilmente la vita delle persone che vi assistono; eppure, il 19 aprile 2023, tra i muri spogli di quell’aula quei pochi studenti sfuggiti ai laboratori della Cogestione si sono fatti ascoltatori muti e fragili pazienti di Roberto Brambilla, inconsapevoli battezzandi di un rito di Giustizia.
Sarebbe facile sbrodolare una lunga serie di titoli eclatanti, che stupiranno sicuramente molti e accenderanno una qualche forma (superficiale) di ammirazione; più difficile è ancorare a terra con parole insufficienti e inefficienti la vita di un uomo di animo sconfinato, un medico che è già in sé cura per e degli altri.
Nessuno dei presenti dimenticherà le immagini presentate, rimarremo custodi a vita di un orrore mostrato senza la patinatura edulcorante dei giornali: in due misere, assurde e sconvolgenti ore il medico apre squarci nella comune indifferenza nella quale ogni giorno ci si avvolge per affrontare le giornate dopo il Tg delle 6.30, costringendo gli occhi di casuali adolescenti a vedere la guerra in Ucraina nelle cicatrici e negli arti mutilati dei bambini curati nell’Ospedale di Leopoli.
La sensazione invasiva, persistente, impossibile da scacciare via di avere solo avuto un’incommensurabile fortuna immeritata si agita tra gli ascoltatori, cade in ogni lacrima e si annida tra i polmoni, quasi a contare il numero di respiri in più che separano la nostra vita dai corpi morti in Ucraina.
Roberto Brambilla racconta a voce alta, senza nascondere l’abominio e senza tralasciare dettagli crudi e rivoltanti per la spietatezza e la stupidità cieca degli uomini, dà voce alle storie di ogni protesi e di ogni ferita curata con le nuove tecniche della medicina rigenerativa, volte a non lasciare tracce, almeno sui corpi, dei sopravvissuti alla guerra.
Roberto Brambilla “fa ciò che è giusto”: rifiuta il mantello riconoscibile dell'eroe- medico che salva i bambini in Ucraina”, agisce e basta, mette a completa disposizione tutta la sua vita, le sue mani da medico e la sua voce da testimone perché la guerra (in questo caso in Ucraina, ma questo vale per ogni conflitto che si svolge nel mondo, in posti dove spesso il vulnologo ha prestato servizio) finisca, affinché le torture continue subite in maggior parte dai civili cessino.
Al termine dell’incontro (il cui eco non si estingue nel suono della campanella, ma si riverbera a lungo sotto le palpebre dei presenti) rimaniamo seduti ai banchi qualche minuto, un po’ incapaci di sopportare il peso della consapevolezza su due gambe. Poi ci alziamo, usciamo dalla classe dopo aver stretto la mano a quest’uomo gigantesco, ai suoi lontani pazienti e, forse, ai futuri compagni di viaggio con i quali ci metteremo a nostra volta a disposizione per “fare ciò che è giusto”.