Stoner, la luce nel nulla


Chi è William Stoner? Un insegnante di letteratura inglese in una piccola università dell’America rurale del primo Novecento, un uomo mansueto ai limiti dell’apatia, sposato con una donna che non ama e distante, troppo distante da sua figlia. Che cosa ha di speciale William Stoner? Nulla, di fatto: vive una vita tranquilla e ordinaria che lo porta dalla piccola fattoria in cui nasce ad una cattedra universitaria, proseguendo poi senza particolari avvenimenti, salvo forse una breve relazione extraconiugale e diversi contrasti con un suo superiore. Che senso avrebbe dunque narrare in un romanzo la vita di quest’uomo, che presentato in questo modo non pare altro che una scialba e grigia figura che scivola silenziosamente attraverso l’esistenza? Nessuno, certamente. Eppure nel 1965 lo scrittore statunitense John Williams pubblica Stoner, rendendo questa storia a prima vista insignificante uno dei capolavori della letteratura americana novecentesca. Un capolavoro secco e drammatico, dove il lento e costante scorrere della vita di Stoner si muove sopra un sottobosco di infinita malinconia, che punta a prendere il lettore più al cuore che alla testa. Lo stile dell’autore, spoglio e ritmato, coinvolge chi legge in una vita grigia, sedentaria e quasi squallida portandolo a scoprire che, anche in quello che la mente ci indica come il buio esistenziale più totale, si può scorgere un barlume di luce. Lentamente, vincendo con una notevole costanza narrativa il nostro scetticismo verso una storia che ci pare inizialmente noiosa e pensante, Williams ci immerge sempre di più nella vita di un uomo fallito, che non ha il minimo rapporto coi propri genitori, che è vittima silenziosa di una moglie egoista e superficiale, che è incapace di trasmettere agli studenti la propria passione per la letteratura, che non riesce a dare alla figlia l’amore che vorrebbe e che, a causa di un litigio con il responsabile del proprio dipartimento, non ottiene successo nel proprio lavoro. Inizialmente quello che siamo portati a provare nei confronti di Stoner, superata l’indifferenza, è un sentimento quasi di disprezzo verso il nulla più totale che pare esprimere: non sembra provare mai niente, anzi a prima vista appare come un uomo che si lascia trascinare senza una volontà propria dagli eventi (il suo stesso matrimonio non contiene nemmeno un brandello d’amore, ma somiglia piuttosto ad una procedura burocratica). Eppure, col procedere della narrazione, impariamo che nella piatta vita di Stoner trovano posto anche sprazzi di uno slancio passionale ed amoroso. La prima volta in cui la staticità della narrazione viene violentemente infranta da questo sentimento si verifica quando il giovane Stoner, ancora studente, ascolta un sonetto di Shakespeare letto da un suo insegnante e scopre improvvisamente il proprio sconfinato amore per la letteratura. In questo momento il personaggio rivela, a sé stesso e a noi, una profondità ed una devozione assolutamente inaspettati per come è stato presentato fino ad ora. Successivamente una grigia nebbia di mediocrità torna su Stoner, che in modo distante e fatalista si laurea, diventa insegnante, si sposa ed ha una figlia. Ma, mentre già malediciamo Williams, che sembra averci illusi con un lampo di luce per poi riportarci nelle tenebre dell’anonima nullità, l’autore rivela che se ha permesso alla piattezza di riprendersi la scena è stato solo per poterla nuovamente stravolgere con un'altra pulsione vitale. Infatti Stoner inizia una relazione con una sua studentessa: così non solo, dopo anni di infelice convivenza con la moglie, si scopre capace di amare qualcuno con la stessa intensità con cui ama la letteratura, ma lancia anche una fiera provocazione contro il puritanesimo imperante nella piccola borghesia rurale americana all’ombra della quale ha sempre vissuto. E così il mansueto professore si ritrova involontariamente critico di una morale ipocrita opponendole la sua capacità di amare, che ancora una volta lo salva dalla mediocrità. Ma la relazione ha vita breve, e di nuovo il romanzo sprofonda nel grigio, continuando ad oscillare così, come su delle montagne russe, tra l’abisso del nulla e l’altezza della passione. Dopo aver imparato a conoscere Stoner in tutta la sua mediocrità che nasconde in realtà una sconfinata passione vitalista e ad attendere gli improvvisi risvegli di questo suo sentimento, lo accompagniamo infine verso la sua morte, ovvero la sua riconciliazione con un mondo a lui ostile, che per tutta la vita ha cercato di sprofondarlo nell’anonimato e nell’ordinarietà. E quando lasciamo Stoner che, come un vecchio e stanco combattente, è colto da un infinito senso di tristezza verso ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, ci è ormai chiaro il messaggio di cui Williams lo ha nominato araldo: anche nel nulla, nella più mediocre apatia, è possibile che la vita, come uno sprazzo di luce, si risvegli.

01/06/2024

Articolo a cura di

Mattia Fantini

IL BANFO

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