Il lato oscuro del Korean beauty


Se non avete mai sentito l’espressione “korean beauty” (o più comunemente abbreviato in k-beauty), si tratta dello standard di bellezza coreano che, grazie ad internet e all’avvento delle band k-pop come i BTS o le Black Pink, si è diffuso in tutto il mondo. Occhi grandi, pelle chiara e perfetta, magrezza e linee sottili e delicate sono alcune delle rigide caratteristiche a cui questi devono obbedire.

Se pensate che il titolo sia un’esagerazione, purtroppo vi sbagliate: in Corea del Sud l’estetica è considerata una faccenda quasi di vita o di morte, tanto da diventare uno dei tasselli fondamentali della loro cultura.
Il paese si afferma essere la capitale della chirurgia estetica e, se vi capitasse di farvi un giro nei pressi di Seul, notereste ovunque studi chirurgici o pubblicità che la riguardano.
E’ così da sempre, o meglio, dalla seconda guerra mondiale: i primi interventi vennero effettuati da David Ralph Millard Jr., un chirurgo di guerra che in Corea del Sud eseguiva i primissimi interventi di “doppia palpebra” sui soldati americani per permettere loro di risolvere i danni legati alla vista. Alcune donne locali vollero sottoporsi allo stesso intervento per assomigliare alle donne americane, attrarre i soldati per poi sposarli, trasferirsi con loro negli Stati Uniti e fuggire così dalla guerra; il sogno per i coreani di apparire più occidentali rimane radicato anche ai giorni nostri. Questa ideologia e i prezzi assolutamente abbordabili anche per la classe media hanno portato ad una vera e propria normalizzazione e accettazione della chirurgia estetica, tanto che 20 persone su 1000 ricorrono ad essa: si tratta della più alta percentuale del pianeta e di un mercato che raggiunge gli 11 miliardi di euro annui di fatturato.

Gli interventi più diffusi sono quelli per avere la doppia palpebra (che per fisionomia gli orientali non possiedono), che fa sembrare l’occhio più grande e più simile a quello occidentale, e il botox per prevenire le rughe e snellire il viso. Anche in giovanissima età, non è raro che i genitori regalino ai propri figli adolescenti un intervento, ma c’è una spiegazione dietro tutto questo: la verità è che in Corea del Sud, se sei bello, hai il futuro assicurato.

E’ un fattore talmente importante da influenzare la scelta di assunzione di un candidato: come prima cosa sul tuo curriculum viene guardata la foto. Non sei bello? Allora vieni scartato a priori. So che sembra follia, ma anche a livello sociale esiste questo lookismo (ossia la discriminazione che si subisce sulla base dell’apparenza): infatti , se non sei bello, vieni trattato con meno riguardo e cordialità. E’ uno schema ricorrente anche nella nostra società, ma in Corea del Sud viene molto amplificato e i coreani vivono la loro vita credendo nell’idea che avere un bell’aspetto sia una loro responsabilità e che non apparire “migliore” secondo gli standard sia un fallimento personale.

In Occidente, il k-beauty è diventato estremamente virale: creme e maschere per la cura della pelle sono diventate i prodotti di spicco del paese orientale. Infatti, in Corea è fondamentale avere la “glass skin”, ossia un viso perfetto e completamente libero dalle impurità (nei e lentiggini compresi); i loro prodotti sono diffusissimi per l’alta qualità ed effettiva efficacia associata a prezzi convenienti, creando così un impero della skincare.

Anche il make-up alla coreana è diventato un vero e proprio trend, tanto da riempire le tendenze Youtube e Tiktok di tutorial su come realizzare questi look: sembra un paradosso se pensiamo che loro fanno di tutto per assomigliare a noi occidentali.
Insomma, i coreani investono moltissimo per la loro cura personale. E cosa c’è di male in questo? Nulla… ma ci rendiamo conto che esiste un problema quando tutti sono talmente concentrati a vedere come sei fuori, che non considerano quello che hai dentro.

01/06/2024

Articolo a cura di

Alice Artino

IL BANFO

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