Happy Thoughts


Fissi ipnotizzato la sfumatura policroma di ruggine sul corrimano, che sembra ormai allungarsi e contrarsi
più o meno impercettibilmente, facendosi beffe dei tuoi pensieri semi razionali che sostengono che le
macchie non possano muoversi. L’aria della stazione è ferma, il tempo scandito solo dal pigro alternarsi dei
colori di un semaforo, pare quasi che i rumori delle macchine si attutiscano per non rompere la bolla grigio
fumo che lambisce l’edificio dalle fondamenta ai binari. Un maglione sporco e una giacca a vento
fluorescente interrompono il tuo contatto visivo con la macchia, dandole un paio di secondi di vantaggio
per cambiare forma, ma tu non puoi perdere la sfida proprio ora, non dopo ventidue minuti di ritardo del
pullman che hai molto intelligentemente occupato a fissarla, in un curioso tête-à-tête. E poi un corpo si
intromette tra voi, una cascata di cioccolato fuso, una borsa a tracolla, una sciarpa azzurra colorata ti
investono. Vorresti rispondere in modo cortese e seccato, d’altronde una sconosciuta ti ha appena distolto
da un obiettivo e a te non piace abbandonare una sfida a metà, ma rimani immobile mentre osservi quasi a
rallentatore le sue labbra sottili distendersi in un sorriso prima accennato, poi via via meno modesto fino a
che non ti viene da chiederti se le guance non le stiano facendo male a sorridere così, ; ma ti accorgi che
anche il mento, gli zigomi marcati, le sopracciglia e le sue iridi sorridono, componendo una sinfonia di luce
che ti zittisce. I tuoi pensieri si interrompono. Una folata di vento piacevolmente freddo ti accarezza il collo.
Il semaforo illumina il vetro di un negozio di verde. Sorridi anche tu.

Ogni volta che provi a piegarti per raccogliere qualcosa le tue giunture intonano il “Miserere me”. La vista
non è più la stessa, anche se sei diventato bravo a non farlo scoprire a tua moglie facendoti leggere
direttamente dalla cassiera la lista della spesa. La pelle rugosa, cosparsa di macchie, le vene in rilievo che
tracciano sentieri intricati sfumati di verdognolo e blu. Provi ad afferrare il resto che il commesso distratto
ti sta porgendo, ma l’artrite ti intralcia e le monetine cadono a terra tintinnando. Inizi ad agitarti, non vuoi
fare la figura del vecchietto impacciato, non vuoi la pietà o la compassione di nessuno. Nel mentre il battito
cardiaco aumenta, i respiri si fanno più appannati e costringi le ginocchia a piegarsi, nella mente viaggiano
veloci i ricordi dei canestri, i salti, i palleggi e le schiacciate che hanno dato il ritmo ai tuoi diciassette anni,
quando femori e caviglie sostenevano te (e la ragazza di turno). Il movimento della colonna vertebrale è
lento, scomposto e disarticolato, percepisci accuratamente ogni vertebra scricchiolare e la vista ti si
appanna leggermente. Due mani scure e ricoperte di anelli raccolgono veloci le monetine dal pavimento,
battendoti sul tempo e si stringono attorno ai manici del sacchetto della spesa (ecologico). Il tatuaggio di un
dragone rosso si muove, veloce e beffardo, avvolgendo nelle sue spire un braccio muscoloso. Segui la coda
che scompare brevemente dietro al colletto traforato di una maglia nera, poi si attorciglia nelle pieghe del
collo e si distende dietro il padiglione auricolare, che alterna cartilagine e anellini di metallo. Vorresti
ringraziare e andartene velocemente, ma mentre ti concentri per tornare a stare in posizione eretta
intravedi due sottili cicatrici che sporgono lievi dal polso che ti afferra deciso per aiutarti. Rimani bloccato.
Molto velocemente, con gesti fluidi e misurati, le mani scure mettono le monetine nel tuo portafoglio, che
avevi lasciato aperto sulla cassa, chiudono la cerniera e lo nascondono dentro alle tasche del tuo giaccone.
Sono mani segnate, vedi croste e segni violacei comparire e scomparire dal tuo campo visivo. Ti ritrovi in
pochi secondi con il sacchetto della spesa già nel carrello, il portafoglio nella tasca e il forte desiderio di
ricambiare quella gentilezza gratuita.

Ogni volta che la zia ti chiama cerchi di trattenere il nervoso istintivo che ti assale. La sua voce, che trovi
sgradevole già di per sé, viene storpiata ancora di più dal cellulare, che enfatizza gli acuti e quelle
dannatissime esse che ti fanno venire i brividi. Che poi, ci si aspetterebbe che a diciannove anni un ragazzo
sappia anche rispondere a tono alla propria zia, ma la sorella di tua madre conosce troppo bene il tuo punto

debole e quindi eccoti qui, fuori dal cancello delle elementari, con una sigaretta tra le dita sporche di olio
per motori ad aspettare il tuo cuginetto preferito. Senza contare che non ricordi nemmeno l’orario esatto
dell’uscita, preso com’eri a frenare la voglia di riattaccare il telefono alla zia, e perciò rimani
pericolosamente in bilico tra la noia e l’attesa. Le tue pupille rovistano in mezzo a una marea colorata di
bambini urlanti, alla ricerca del viso rotondo e morbido di Gabriel. Lo intravedi, butti la sigaretta a terra, poi
lo perdi, e mentre soffochi una parolaccia tra le labbra la sua manina paffuta e lentigginosa si aggrappa al
tuo polso.
-Zio, non si butta la sigaretta per terra! -. Lo guardi: rivedi te stesso nei suoi occhi ingenui, il sorriso
spontaneo che si schiude rivelando qualche buco tra i dentini bianchissimi. Ti incanti, perdendoti tra viali di
ricordi gelosamente custoditi, e allora Gabri si china per terra, prende la cicca e la butta nel cestino, ma si
sbilancia con lo zaino e viene quasi travolto da un signore. Allora ti riscuoti, afferri svelto le cinghie della
cartella e attiri il bambino vicino a te, guardando storto l’uomo che se ne va, borbottando tra sé.
-Stai bene? –
- Sì zio –
La tua voce di cartavetrata si oppone a quella delicata del bambino. Gabriel trotterella davanti a te, quasi
rimbalzando come una pallina, mettendo in bella mostra i rotolini della pancia sotto la maglietta di Batman,
inno alla gioia di carboidrati e dolci. Ti viene da ridacchiare, ma appena senti un’altra voce unirsi alla risata
ti volti bruscamente e zittisci la bambina con un’occhiataccia, che scappa a nascondersi dietro alla mamma,
non senza averti fatto prima una linguaccia.
Sospiri, turbato dal fatto che semplici risatine possano prima o poi sfociare in comportamenti aggressivi o
bullismo nei confronti del tuo cuginetto preferito, e non sai cosa farai perché questo non si verifichi, e senti
l’ansia pesarti addosso, la preoccupazione, percepisci chiaramente il desiderio di vederlo sempre felice, e
proseguiresti con questi pensieri se non fosse che Gabriel è quasi inciampato e ti affretti a raggiungerlo e a
togliergli lo zaino dalle spalle.
-Oggi abbiamo fatto una cosa proprio bella zio, ma tu lo sai che Bianca disegna benissimo? E io ho fatto
prima un pasticcio con il rosso, poi lei me l’ha corretto e dopo siamo stati andati dalla maestra per farglielo
vedere! – parla velocemente, mangiandosi un po’ le parole, e tu permetti a un sorriso inusuale di illuminarti
il viso.
- si dice “siamo andati” Gabri, non “siamo stati andati” – nel mentre gli scompigli i ricci morbidissimi.
Vorresti dirgli tantissime cose, ma non sai bene come fare; quindi, trascorri la maggior parte del tempo
ascoltando e intervenendo ogni tanto.
Gabriel si ferma, guardandoti con occhi giganteschi, lucidi di ammirazione.
- Tu sai proprio tutto zio –
Una strana emozione si annida dentro di te, e vorresti quasi spiegargli che non sai praticamente nulla ma il
bambino riprende a parlare a raffica mentre ti trascina verso casa, e non riesci a smettere di sorridere.

11/01/2022

Articolo a cura di

Giulia D'Arienzo

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