Rosso


Sdraiata immobile sul mio letto, tra foto di amici, bigliettini colorati e cartoline di viaggi, ascolto le pulsazioni del mio cuore e penso (lo so, non è molto originale, vero Oskar?) a quali altri muscoli cardiaci stiano ribattendo il mio stesso ritmo. Sotto le palpebre appaiono immagini lacerate di strade polverose, i passi frettolosi di chi si nasconde dalla morte e lo sguardo vacuo di chi invece invoca colei che ormai si è paradossalmente tramutata in sporca salvezza. Percepisco il respiro ansante, le mani tremanti, le unghie lunghe conficcate nei palmi, i muscoli frenetici che si contraggono in preda alla crisi di astinenza e alla disperazione dei prigionieri dipendenti da droghe e oppiacei di Kandahar. Macabra ironia pensare che l’Afghanistan sia il più grande produttore mondiale di eroina. Scatti improvvisi, grida, spintoni e odori nauseabondi, ossa rotte e sangue rappreso, fluido, rosso, che ridicolo e sprezzante si finge un segno di vita in persone già morte. Scorgo ovunque segni rossi, manifesta volontà di annientare amori omosessuali, adulteri, segni rossi che marchiano eroinomani e stupratori, un rosso scuro e viscoso che impregna l’aria in questa prigione – Inferno. Sento il ghiaccio nelle vene. Respiro polvere. La gola è reduce da un lungo sorso di acido solforico, che corrode organi e speranze. Il rosso scuro, macchiato, malato, contaminato e rovinosamente compromesso dei prigionieri si rispecchia nelle iridi dei carcerieri talebani. Rigagnoli e gocce mi conducono nell’ala femminile. Non c’è parola qui. Solo urla, carne lacerata, violenza rivoltante che devasta. Non c’è giustizia qui. Un uomo può trascinare la propria moglie nell’ultimo luogo della Terra con la (ovviamente) comprovata giustificazione di esserne stato infastidito. Rosso, rosso, rosso. Rosso violento, ferite aperte e vergogna, disperazione e ossa deformate per il continuo sussultare. Non c’è cielo qui. Battiti di cuori scarnificati, bulbi oculari pietrificati nel momento del sopruso, labbra rotte e screpolate che invocano acqua, ma non c’è altro che rosso qui. E il rosso non scompare, non c’è modo di arginarlo, investe e travolge ogni cosa. I muri del carcere fagocitano i prigionieri, le mandibole masticano vite senza curarsi di chiudere la bocca in un pasto cannibalesco di infinite portate, sotto lo sguardo attonito e vuoto dei bambini. Ebbene sì, spettatori inermi, irreversibilmente condannati allo strazio, vagano nel giardino della prigione. In attesa di essere riconosciuti, si dice. Il rosso ha già allagato il loro futuro.
Un puntino vermiglio su una cartina enorme, questo è il carcere di Kandahar. Tutto l’Afghanistan è sommerso dal sangue, che strozza nella gola le parole, che rende scivolose le manette arrugginite, che ricopre i quaderni di una scuola. Un colore ben visibile, un segnale di aiuto, una richiesta di intervento. Possibile che siamo tutti daltonici?

12/02/2022

Articolo a cura di

Giulia D'Arienzo

IL BANFO

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