Wear a mask


Quando da bambina, nascosta dietro un albero mentre giocavo a nascondino, guardavo i ragazzi del liceo al parco e non riuscivo a spiegarmi come potessero passare ore semplicemente seduti a parlare. Ero certa che non sarei mai diventata una di loro. Invece eccomi qui, una decina di anni dopo. Adesso passo ore a parlare di tutto. Più passa il tempo, più i nostri discorsi diventano profondi, ma mi preoccuperò veramente solo quando mi ritroverò a commentare le riunioni condominiali o come procedono i lavori nel cantiere vicino casa: allora sì che quella bambina al parco si preoccuperebbe per me.
Nell’ultimo periodo però c’è stata una strana coincidenza nelle mie chiacchierate con amici. Più volte ho parlato di un tema che mi affascina da tempo: cambiare la propria personalità a seconda delle circostanze. È un argomento molto complesso che mi ha fatto riscoprire la bellezza del confrontarsi, di trovare nuovi spunti di riflessione e diverse prospettive.
Tutto è iniziato qualche anno fa con la lettura di uno dei miei classici preferiti: “Uno, nessuno e centomila”. Con alcune pagine quest’opera mi obbligava a fermarmi, mi costringeva a smettere di mentire a me stessa, ad ammettere che indosso più maschere di quante non voglia. Inconsapevolmente, come molti, ho costruito tante mie diverse versioni, conoscendo sempre più persone, vivendo diversi contesti. All’inizio pensare alle proprie “maschere” spaventa. È la paura di perdere sé stessi. Dimenticarsi chi si è davvero o di quei valori con cui non si può scendere a compromessi. Le maschere si costruiscono con un processo continuo, prolungato e subdolo. Mentre prendono forma non possono essere fermate e si percepiscono quando sono ormai profondamente radicate in noi.
Ma saper modulare il proprio atteggiamento in base alla circostanza è anche maturità. Da bambini infatti c’è per niente o solo poco questa predisposizione. Da sempre i bambini vengono idealizzati come veri depositari della sincerità e dell’innocenza, virtù che, quando si cresce, rimangono così presenti in pochissimi, ma non necessariamente un male. Infatti, un mio amico mi raccontava di avere tre maschere: una per i suoi amici più stretti, una per i semplici conoscenti e la terza per le occasioni più formali, la più istituzionale. Proprio assumere questa è segno di maturità ed è sempre più necessario col tempo. Vedere le maschere in un’ottica più positiva, considerarle indispensabili, aiuta moltissimo. Perché invece considerando solo i loro aspetti negativi si arriva all’ansia di sentirsi manipolatori: pensare che la personalità cambi in base alla persona presente, anche per piacere di più, spaventa.
Il nostro vero modo di essere quindi qual è? Chi lo apprezza veramente? Chi ci frequenta solo per l’immagine che abbiamo appositamente costruito per compiacere? Davanti a simili domande invidio quel mio amico delle tre maschere. La mia realtà non può essere ridotta a un numero così piccolo, vedo molte più sfaccettature nelle mie maschere. E questo genere di analisi personale in relazione a qualsiasi rapporto è fondamentale. Sono convinta che le persone da tenersi più strette siano quelle con cui emerge la versione migliore di noi stessi. Senza pensare alla maschera più opportuna da indossare, con loro appare inevitabilmente quella con cui siamo più a nostro agio, perché si adatta perfettamente al nostro volto: siamo noi stessi nella versione di cui andiamo più fieri.

24/03/2022

Articolo a cura di

Giulia Riccio

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